Quando avevo tredici anni ero appassionato di elettronica, così acquistai un kit per costruire un trasmettitore fm che mi permise di creare una piccola radio libera. Un anno dopo i miei genitori regalarono a mio fratello un boxer della piaggio, poiché la manutenzione offerta dalle officine era cara e non era mai soddisfacente imparammo a smontarlo e rimontarlo completamente. Verso i sedici anni, nella fiat 126 di mia sorella, installai un’autoradio con due casse dopo aver smontato mezza macchina.
Queste tre passioni fecero si che per molti anni ed a diversi amici fornì loro microspie da inserire in pacchetti di sigarette, rimisi in sesto i loro registratori a cassette, riparai i loro motorini, montai le loro autoradio nelle loro macchine… se fossi vissuto in un luogo con maggiore cultura d’impresa probabilmente tutto ciò sarebbe diventato una vera e propria attività.
Oggi i ragazzi non saldano più resistenze e transistor nei circuiti stampati, non puliscono più carburatori o candele sporche, non passano più cavi all’interno di pannelli e non fanno più i buchi per alloggiare casse acustiche. Tutte queste attività sono diventate mestieri di nicchia poichè il mercato ha deciso che è meglio buttare e ricomprare anziché riparare.
È altrettanto vero che oggi l’ambiente che ci circonda è più pronto ad accogliere e sostenere le buone idee e chi ha voglia di mettersi in gioco in un’impresa. Il problema, però, è che a fronte del cambiamento degli stili di consumo e quindi delle dinamiche della domanda e offerta, vi sono dei profondi cambiamenti nello stile di vita di tanti giovani che non hanno più quella curiosità, quella passione e quella follia che potrebbe permettere loro di cogliere tutte le opportunità che oggi il mondo del lavoro offre.
Siamo in crisi, si, ma io credo che la crisi maggiore sia la mancanza di voglia di imparare, di inventare e di fare.